La scorsa settimana i presbiteri, i diaconi e gli operatori pastorali della diocesi sono stati i destinatari di una lettera a firma del vicario generale don Libero Zilia e del vicario per la pastorale don Gianni Grandi. La nostra intervista agli autori della lettera ne riprende i contenuti principali.
Ripartire dopo che tutto sembrava essersi fermato. Da dove attingete questa immagine? Nel brano evangelico che è stato proclamato il giorno di Pentecoste, Gesù Risorto rivolge ai suoi discepoli parole che invitano a ripartire, a ricominciare, dopo che tutto si era fermato. Non solo le parole, ma la sua presenza reale con i segni della passione e il soffio dello Spirito innescano un processo nuovo che spinge gli Undici ad uscire e ad andare a portare a tutti l’annuncio della Vita bella e buona che è il Vangelo.
Ci sembra di capire che in questa cosa ci sia dentro la missione della Chiesa.
Si è proprio così. È la missione della Chiesa, che coinvolge ciascuno di noi. L’evangelizzazione infatti non è cosa per specialisti ma compito di ogni credente. E lo Spirito, presente nella Chiesa, ci spinge a ripartire, e a rinnovare anzitutto il nostro cuore e la nostra mentalità. La chiusura, la sospensione di molte nostre attività, la paura, la sofferenza e il dolore ci hanno lasciato disorientati e confusi facendoci passare dal vuoto e dall’incapacità di reagire al troppo pieno di tante proposte talvolta poco condivise e disorganizzate.
L’esperienza della pandemia ha ferito profondamente la nostra vita e continua a segnare profondamente ciò che caratterizza la nostra umanità che è fatta per la relazione, l’incontro, il contatto, l’accoglienza. Questa esperienza ci ha scossi dal nostro torpore e ci ha mostrato tutta la nostra fragilità e non autosufficienza. Qualcuno ha potuto vivere o sperimentare gesti di sincera solidarietà, altri hanno gustato la gioia semplice della famiglia, altri ancora hanno sentito la nostalgia della comunità e della vita liturgica, ritrovando tuttavia nella casa lo spazio per celebrare la preghiera domestica. Alcuni forse si sono allontanati e isolati ancora di più, rinchiusi nella propria casa trasformandola in una prigione dorata per difendersi dal “nemico”, dimenticando o interrompendo il legame con Dio e con gli altri.
Che idea di siete fatti della chiesa mantovana durante la fase più acuta della crisi?
Dagli incontri fatti con i catechisti nei vicariati e dalle risposte al questionario mandato a tutti i cristiani abbiamo sentito quasi spontaneamente nascere dentro di noi un sentimento di gratitudine perché tantissimi hanno cercato di stare vicini, come potevano, ai genitori e ai ragazzi che stanno accompagnando nel cammino di vita cristiana. In vari modi, talvolta con idee originali e creative, hanno tenuto viva la relazione riscoprendo ancora di più il ruolo insostituibile dei genitori nel cammino di fede dei figli. In alcune famiglie si è vissuta una vera catechesi domestica fatta di gesti semplici e non solo di “compiti” che supplissero all’ora di catechismo. E allora forse bisogna ripartire proprio da qui.
Perciò che cosa state proponendo alla chiesa mantovana?
Con la lettera che abbiamo inviato a tutte le comunità vorremmo suggerire alcuni punti fermi sui quali lavorare nell’ambito dei percorsi di evangelizzazione nel prossimo futuro. Questi punti fermi li riconduciamo ad una rinnovata visione d’insieme, una formazione sempre più unitaria degli operatori della pastorale, un ritrovato ruolo degli adulti, dei genitori e delle famiglie, una riscoperta della casa quale primo luogo di preghiera e di catechesi.
Sulla celebrazione dei sacramenti dell’iniziazione cristiana e della prima confessione riteniamo opportuno diluire le celebrazioni in più momenti, facendo partecipare i piccoli gruppi. Proprio per questo per la presidenza delle Cresime verrà data licenza, per questo autunno, ai singoli parroci.