I ragazzi del post-cresima dal 13 al 19 giugno
Prologo
Dal 13 al 19 giugno, noi (Andrea, Diana, Francesco, Giorgio, Agnese, Aurora ed Elia) – i ragazzi più grandi del gruppo dopo cresima della parrocchia del Duomo – abbiamo partecipato ad un viaggio che non scorderemo facilmente. Accompagnati dal mitico Don Renato, guida spirituale e non solo, e da Matteo, nostro animatore, abbiamo seguito un pellegrinaggio nei territori in cui Gesù ha vissuto più di duemila anni fa. Ad accompagnarci in questo fantastico viaggio c’era anche Johny, l’autista arabo-israeliano del nostro pulmino, che ci ha condotto per tutta la durata del pellegrinaggio, durante il quale, oltre ad essere entrati in contatto con una nuova ed affascinante cultura, abbiamo anche avuto l’occasione di vivere un rinnovamento spirituale da parte di tutti, chi più chi meno.
Giorno primo – martedì: Ci siamo ritrovati in piazza Sordello alle 8 e 30 del mattino, troppo presto per essere in vacanza; avevamo le facce assonnate ma il sangue che già ribolliva dall’eccitazione. Dopo aver caricato le valigie e salutato le famiglie, ci siamo diretti verso l’aeroporto di Malpensa, dove abbiamo preso il volo per Tel Aviv, la capitale. Atterrati all’aeroporto Ben Gurion, percepivamo un’aria tutta nuova: non solo il clima, ma anche le scritte in ebraico e le persone erano a noi presenze poco familiari. L’ambiente circostante ci fece fremere per la gioia e per il desiderio di iniziare questa avventura. Dopo un viaggio di circa due ore, siamo giunti all’hotel Casa Nova di Nazareth, dove ci siamo rifocillati e, subito dopo esserci sistemati nelle stanze, siamo andati a letto carichi per i giorni seguenti.
Giorno secondo – mercoledì: Il secondo giorno, dopo una colazione dai sapori nuovi ai quali non eravamo abituati, abbiamo iniziato una nuova routine: prima di dirigerci alla Basilica dell’Annunciazione, che distava pochissimi metri dal nostro hotel, ci siamo fermati nel cortiletto a recitare le lodi mattutine, mentre alla sera era il turno dei vespri. Per molti di noi era la prima volta. Dopo la visita alla chiesa, abbiamo celebrato la messa del giorno esclusivamente fra noi, anche questo un evento che è ricorso quasi giornalmente. Dopo la celebrazione, abbiamo camminato per le strade della città alta, dove abbiamo avuto un’anteprima di quello che ci avrebbe aspettato nel pomeriggio; fra strade ripidissime e incontri di ogni tipo, siamo venuti a contatto con un’altra realtà di Nazareth. Successivamente il Don ci ha lasciati liberi per il pranzo e noi, dopo lunghe ricerche, siamo finiti in un tipico ristorante mediorientale con shawarma (quello che noi chiamiamo comunemente kebab) e falafel. Dopo un pasto non propriamente leggero, siamo andati a visitare la piccola comunità di Charles de Foucauld, dove un gentilissimo (prete) italiano ci ha raccontato la storia di questo personaggio, dal quale prende il nome la comunità. Poi ci siamo recati, accompagnati da Johny, ai piedi del monte Tabor – luogo della trasfigurazione del figlio di Dio. Matteo e Don Renato non ci avevano avvisato, ma alla partenza ci hanno consegnato due domande ciascuno. Quindi abbiamo iniziato l’ascensione a piedi, ognuno distante qualche metro dalla persona successiva per evitare qualsiasi tipo di distrazione. Un’ora e mezza in solitudine fino alla sommità del monte per riflettere circondati da una natura molto diversa da quella a cui eravamo abituati. In cima ci attendeva uno splendido parco naturale che vanta una vista spettacolare sulla valle di Jezreel. Dopo una breve visita alla Basilica e un po’ di riposo, siamo scesi contando solo sulla “macchina di San Francesco” mentre raccoglievamo i rifiuti che trovavamo per strada. Fortunatamente, a tenerci compagnia, c’era un gattino a cui abbiamo dato dell’acqua e che ci ha accompagnato per una parte del ritorno, alleviando le nostre sofferenze dovute alla stanchezza. Rientrati in hotel sfiniti, l’abbondante cena ci ha rinvigoriti e abbiamo fatto un giretto nella Nazareth by night, nella più completa libertà.
Giorno terzo – giovedì
Il terzo giorno, secondo le scritture ; ), dopo aver fatto le valigie e aver gustato l’ultima colazione al Casanova, ci siamo diretti a Cafarnao, la città di Gesù che si affaccia sul lago di Tiberiade. Dopo una visita alla sinagoga e una breve camminata, abbiamo partecipato ad un’esperienza a dir poco mistica, seduti sulle rive del lago. Il Don ci leggeva alcuni brani del Vangelo, dove si narravano gli avvenimenti accaduti proprio in quel luogo, mentre noi ci immaginavamo le scene di quel tempo. Ripartiti da Gerico, Johny ci ha portato in un ristorante-bazar locale e, dopo aver visitato i negozi di souvenir, siamo ripartiti con destinazione Mar Morto. Ora possiamo dire di aver fatto un bagno in quell’acqua densamente salata! Abbiamo però resistito assai poco, era troppo salata. Siamo quindi andati a giocare nella piscina situata poco più in alto. Dopodiché siamo ripartiti alla volta di Betlemme. Lungo il percorso ci siamo incamminati nel deserto di Giuda; fermati su una collina abbiamo recitato la messa del giorno, una delle esperienze più toccanti del viaggio, seguita da un piccolo momento di silenzio. È stata anche questa una prima volta: ognuno, scegliendo un punto abbastanza isolato dagli altri membri della compagnia, si è seduto contemplando il deserto davanti a sé e ha dato spazio a qualsiasi cosa gli passasse per la mente, esperienza profondissima e quasi ineffabile. In seguito siamo ripartiti per Betlemme dove, una volta arrivati al Mount David Hotel, splendido albergo con una vista sulla città mozzafiato, abbiamo cenato e poi seguito il giro serale per le strade della cittadina.
Giorno quarto- venerdì
Il quarto giorno, dopo colazione, ci siamo diretti al Campo della Chiesa dei Pastori, dove abbiamo celebrato la messa in una delle grotte del luogo. Dopo questa esperienza, abbiamo provato ad andare alla Basilica della Natività, ma senza successo: la coda era chilometrica. Ci siamo quindi diretti verso Gerusalemme per andare allo Yad Vashem, l’Ente Nazionale per la Memoria della Shoah, un museo eretto per ricordare tutti gli ebrei che hanno dovuto fronteggiare uno degli eventi più oscuri dell’umanità. Ci siamo fermati il resto della mattina, ma due ore non sono bastate: almeno una giornata intera sarebbe stata necessaria per visitarlo bene. All’interno della struttura architettonicamente innovativa, vi erano varie gallerie da percorrere, ognuna con un micro tema differente. Inoltre, era presente una moltitudine di reperti: addirittura delle rotaie, delle scarpe autentiche indossate dai perseguitati, dei carretti risalenti a quell’epoca, e soprattutto una miriade di testimonianze video e interviste a persone che erano state i bambini dell’epoca, tantissimi ricordi toccanti ora impressi nella nostra memoria. Vi erano, oltre al percorso, varie stanze e due in particolare ci hanno colpito; una era la stanza della memoria, una sala circolare ove nelle pareti vi erano pesanti tomi, probabilmente contenenti il nome di ciascuno degli ebrei morti, e sopra la zona centrale un immenso e altissimo tronco di cono contenente una moltitudine di fotografie all’interno, sempre di alcuni dei molti ebrei morti durante questo orrido genocidio. Ma la struttura che ci ha colpito in assoluto di più è il memoriale dei bambini: un percorso immerso nell’oscurità che porta nella stanza principale, dove le pareti, grazie a un gioco di specchi, riproducono le luci di sole 5 candele per ben un milione e mezzo di volte, il numero dei bambini morti durante la Shoah. Mentre si vive questa esperienza toccante vi è una voce registrata che ripete continuamente nomi, età e provenienza dei bambini uccisi. Usciti dall’edificio esterrefatti e colpiti da quanto visto e provato, avevamo sviluppato una discreta fame; quindi, guardando l’orologio ci siamo accorti che si era fatta l’una. Allora siamo ripartiti in direzione Gerusalemme e ognuno, durante il tragitto in bus, ha espresso i suoi pensieri e condiviso la cosa che lo ha colpito maggiormente. Johny si è fermato alla Porta di Giaffa dove abbiamo incontrato Miriam, un’ebrea ortodossa amica di Matteo. Miriam ci ha portati da Lina, un tipico ristorante mediorientale, dove abbiamo pranzato, per poi spostarci ai tavolini esterni dell’ospizio austriaco. Qui abbiamo discusso diversi argomenti, tra cui la situazione Israele-Palestina, cos’è l’ortodossia ebraica, la popolazione multietnica in Israele, ecc.. In seguito, essendo venerdì, abbiamo partecipato alla “vera” via crucis, un’esperienza molto suggestiva: abbiamo percorso lo stesso tragitto (con tutte le quattordici tappe) che Gesù compì quando trasportò la croce. Ci ha colpiti il fatto di aver percorso la stessa distanza che ha percorso Gesù, la fatica che deve aver provato camminando sulla stessa strada che stavamo percorrendo noi, ma con una struttura di legno di circa 70 chili sulla schiena. Come ultima tappa, preceduta dalla pietra dell’unzione, abbiamo avuto ovviamente il santo sepolcro, esperienza indimenticabile essendo il primo luogo della cristianità. Il santo sepolcro è situato nell’omonima basilica, dove abbiamo anche assistito al rito cristiano ortodosso di benedizione, con cui la comunità mantiene il diritto su alcuni altari della basilica (cosiddetto status quo). Dopo questa esperienza, ci siamo diretti al muro del pianto, un orario perfetto perché si erano già fatte le sette. Infatti, lo Shabbat cade ogni sabato, ma inizia (come d’altronde la domenica per i cristiani) al tramonto del giorno prima, il venerdì. È stato peculiare assistere alla preghiera degli ebrei, eseguita in una modalità molto diversa dalla nostra.
Ormai era arrivata l’ora di ritornare agli alloggi: ci siamo quindi diretti verso il nostro hotel. Dopo aver cenato ed esserci preparati, siamo usciti per consiglio di Johny a provare il Künefe, un dolce con pistacchio, sciroppo dolce e formaggio, in un bar pasticceria locale e a fare un giretto serale nei dintorni.
Giorno quinto – sabato Alla mattina dopo la colazione, siamo andati al Monte degli Ulivi, dove abbiamo visitato vari luoghi. Prima di tutto siamo andati alla chiesa del Pater Noster, dove si crede che in quel luogo Gesù abbia insegnato il padre nostro agli apostoli. Nel giardino esterno della chiesa vi erano, scritte sui muri, tutte le versioni della preghiera in ogni lingua. Abbiamo poi proseguito verso un convento di suore del luogo, ma ahimè, arrivati sul posto, abbiamo trovato il cenobio inaccessibile. Però si sa, quando si chiude una porta si apre un portone, e infatti siamo giunti ad una magnifica chiesa ortodossa dove abbiamo ammirato le sublimi iconostasi tipiche.
Siamo andati alla Basilica del Getsemani, il luogo dove Gesù si ritirò dopo l’ultima cena, poco prima di essere tradito, e quindi arrestato. Qui ognuno di noi si è isolato dagli altri all’interno della basilica, rispondendo sul proprio quadernino a delle domande riguardanti il nostro rapporto con la religione. Ci siamo diretti poi alla tomba della Madonna, ovvero il luogo dove Maria, la madre di Gesù, si pensa sia morta (non si è completamente certi). Alchè abbiamo recitato una preghiera dedicata a lei e un Ave Maria. Una cosa che ci ha colpiti è stato il fatto di vedere dei musulmani pregare in quel luogo; ma in realtà era normale per loro, siccome Gesù è per loro il secondo profeta più importante dopo Maometto. A seguito di ciò ci siamo inoltrati alla grotta dell’arresto di Gesù. Qui vi erano molte stanze, e in quella principale si stava celebrando una messa in spagnolo; ci siamo quindi spostati in una stanza più isolata. Il Don ci ha raccontato, in parte leggendo e in parte a voce, l’episodio dell’arresto di Gesù e anche la storia della grotta. Dopo una camminata di venti minuti siamo giunti all’ospizio austriaco dove ci eravamo incontrati il giorno prima con Miriam. Qui ci siamo ristorati chi con goulash, chi con una pizza gerusalemmita (nemmeno così malvagia). Ci siamo trattenuti fino alle due e un quarto, per poi dirigerci verso il Lions’ Gate, la porta dei leoni, passando per i bazar, ossia i mercati tipici del luogo. Dopo aver salutato e ringraziato Miriam, abbiamo fatto una bella camminata sotto il sole cocente mediorientale, fino a quando siamo arrivati alla chiesa di sant’Anna e alla piscina probatica. In quel luogo abbiamo celebrato la messa in un locale, sempre esclusivamente fra di noi. Successivamente il Don ci ha concesso del tempo libero, perciò alcuni di noi l’hanno esplorato, andando fino in basso alle rovine della piscina, mentre altri hanno girato attorno al sito, siccome vi era una sorta di piccolo parco botanico ben curato. Tutti assieme siamo poi tornati all’Ospizio per attendere Miriam, con cui abbiamo fatto un giro per il mercato allo scopo di portarci a casa alcuni souvenir. Fatte le cinque siamo tornati a Betlemme per visitare un luogo che il giorno prima non eravamo riusciti a vedere, la Basilica della Natività. Durante il viaggio abbiamo recitato i vespri e riposato. Arrivati davanti alla basilica, siamo entrati ed era inaspettatamente quasi deserta! Infatti, c’erano veramente poche persone a vedere la grotta. Ognuno di noi, a turno, si è abbassato sotto il piccolo altare per toccare con mano il punto esatto dove Gesù è nato, indicato da una stella argentata. Dopo venti minuti di silenzio e riflessioni personali, siamo ritornati in hotel, rigorosamente a piedi, per consumare la cena (con annesso compleanno di Matteo con tanto di torta e candeline comprate sulla strada del ritorno) e per preparare le valigie e noi stessi al meritato ristoro notturno.
Giorno sesto – domenica
Dopo la colazione di buon mattino, abbiamo caricato le valigie, un po’ afflitti dal fatto che questa sarà l’ultima giornata che passeremo in questo paese, siccome il giorno seguente sarà occupato unicamente dal viaggio di ritorno. Siamo arrivati quindi a Gerusalemme, dove avremmo voluto visitare la spianata delle moschee, ma purtroppo ai non musulmani le moschee non sono accessibili, nonostante ciò abbiamo avuto una mirabile veduta su tutta la valle. Successivamente ci siamo recati al cenacolo, il luogo dove Gesù assieme ai suoi apostoli ha consumato l’ultima cena. Allora, trovando un posto riparato dalla folla, il Don ci ha letto quello specifico passo del vangelo, mentre noi cercavamo di immaginarci la scena. Una volta usciti, ci siamo fermati in mezzo alla strada per fare una riflessione inerente al nostro gruppo e al concetto di comunità. Abbiamo proseguito la camminata con la vista sul cimitero armeno, scendendo per una discreta quantità di metri. Ci siamo ricongiunti quindi con Johny, dove avremmo preso il pulmino lasciando Gerusalemme una volta per tutte. La nostra meta era Abu Gosh, dove secondo la tradizione raccolta dai francescani, era il luogo d’incontro dei discepoli di Emmaus. Quindi abbiamo celebrato una semplice messa e, sempre su consiglio di Johny, ci siamo recati in un ristorante tipico un po’ isolato dal resto della città e di ottima qualità. Da lì, verso l’una e mezza, siamo ripartiti con destinazione Tel Aviv. Eravamo tutti elettrizzati dal fatto di arrivare in questa città, modernissima rispetto al resto del paese. Siamo arrivati all’ostello, dove ci siamo sistemati e messi il costume da bagno, siccome a quel punto ci saremmo diretti in spiaggia. Ma prima di tutto ciò, abbiamo voluto dirigerci nel quartiere Bauhaus della città. La Bauhaus è una corrente artistica nata in Germania, ma la cui vera capitale è Tel Aviv. Infatti, gli edifici moderni, essenziali, con pareti bianco crema brillante e tutti eguali fra loro e con i tipici balconi circolari agli angoli, erano disseminati nel centro della città. Purtroppo il tour guidato durava la bellezza di tre ore, tempo che non potevamo concederci di utilizzare per una singola attività. Di conseguenza, abbiamo ammirato gli edifici per conto nostro sulla strada per la spiaggia. Arrivati là eravamo affascinati dalla modernità del centro abitato, anche solo dal lungomare. Vi era, a ridosso di grattaceli di altezze vertiginose (ospitanti tutti hotel di cinque stelle), la Shomo Lahat, la strada che costeggiava tutta la spiaggia. Più avanti vi era la pista ciclabile, tenuta benissimo e, come vedevamo molto compiaciuti, anche assiduamente utilizzata. C’era ora la zona pedonale, che era coperta ogni tanto da queste enorme tettoie di legno che servivano per riparare dal sole i pedoni, ed era anche costeggiata frequentemente da panchine. Poi, finalmente la spiaggia, larga quasi un centinaio di metri. Qui il terreno era nella maggior parte libero, ma non mancavano dei lidi. Vedevamo poi, un poco più lontano da noi, dei campi da pallavolo, teqball e da calcio, tutti gratuiti e in condizioni immacolate. Non ci abbiamo pensato due volte, e dopo aver sistemato i teli, ci siamo buttati tutti insieme nell’acqua, in quel momento abbastanza agitata e che, nonostante la presenza degli scogli, creava alti e spassosi cavalloni. Siamo rimasti lì fino alle cinque e mezza, ed ormai si era fatta l’ora di incamminarci verso il ristorante Saint George. Abbiamo passeggiato lungo tutto il lungomare, ammirando la multietnia della città, i giardini immensi che ogni tanto sostituivano la spiaggia, dove vi erano gruppi di persone sedute sul prato, un carretto dove una comitiva stava cucinando una grigliata, una donna stava danzando sola ma nella più totale pace e serenità. Frequenti erano i bar sulla spiaggia, non completamente pieni ma in fase di stipamento, e comunque traboccanti di allegria. Comunque sia, alla fine siamo arrivati al ristorante, affamati e stanchi per la giornata. Abbiamo avuto qui un antipasto composto da pane arabo, hummus e una carrellata di condimenti e salse, spiedini di manzo e due dessert. Appagati dalla cena, abbiamo fatto un giro per Jaffa, visitando il porto e la zona antica di Tel Aviv. Successivamente, abbiamo continuato nel centro della città, la zona più moderna, cercando un barbiere per uno di noi, ma sfortunatamente senza successo. Siamo rientrati in hotel verso mezzanotte, e dopo essere rimasti insieme nelle camere per un’altra oretta, siamo andati a coricarci, tristi che ormai quest’esperienza era ormai giunta al termine.
Giorno settimo
L’ultimo giorno, purtroppo, è stato completamente dedicato a viaggiare. Ci siamo destati alle otto, per riprenderci dalla serata del giorno precedente; abbiamo fatto colazione, e poi siamo partiti. La colazione però, ci ha permesso di vedere una realtà di Israele a cui non abbiamo mai toccato con mano nei giorni precedenti. In primis, l’età media delle persone presenti era sicuramente inferiore rispetto a quella dei giorni scorsi: la maggior parte degli individui aveva un’età compresa fra i venti e i trent’anni. Un’altra cosa che ci ha sconvolti era un ragazzo, di circa vent’anni, che tutto tranquillo era sceso per mangiare, ma a tracolla aveva un vero e proprio mitra, e per di più tutti gli altri presenti non erano turbati. Subito dopo, ci siamo diretti al terminal 1 dell’aeroporto, dove abbiamo dovuto tristemente salutare Johny una volta per tutte. Qui Matteo e il Don hanno dovuto affrontare un interrogatorio, anche se alla fine è andato tutto per il meglio. In aeroporto, per pranzo, abbiamo ordinato dal McDonald’s Kosher dell’aeroporto, con panini e altre pietanze mai viste prima; il tutto lo abbiamo consumato sull’aereo. Dopo quattro ore di volo siamo atterrati a Milano, amareggiati per la fine dell’esperienza, e da lì siamo ritornati, sempre in pulmino (ma non con il nostro amato Johny), con destinazione piazza Sordello. Una volta arrivati, abbiamo riabbracciato le nostre famiglie, e ci siamo salutati fra di noi, arricchiti dall’esperienza.
Epilogo
Nonostante tutto, penso che siamo tutti d’accordo nel dire che questo sia stato uno dei viaggi più indimenticabili a cui noi, in quanto gruppo, abbiamo avuto la fortuna di partecipare. Attraverso luoghi, sapori e tradizioni diverse siamo riusciti a tornare indietro nel tempo di duemila anni e capire veramente cosa doveva voler dire essere cristiani ai tempi di Gesù Cristo.
Per quanto riguarda noi ragazzi, avere passato una settimana insieme ha solidificato i rapporti già esistenti, non solo tra di noi ma anche con Matteo e Don Renato, e ognuno ha conosciuto un po’ meglio le persone che ci circondavano.
Ringraziamo quindi ancora Matteo e il Don, che ci hanno accompagnato in un’avventura che sembrava folle pensare solo mesi fa, e tutti quelli che hanno reso possibile ciò.
I ragazzi del post cresima